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Play-Back#6 La classe

PLAY-BACK 2021

Teatro contemporaneo italiano / Contemporary Italian Theatre

Istituto Italiano di Cultura di Melbourne / Italian Cultural Institute Melbourne

Cura di / Curated by Elvira Frosini e Daniele Timpano

 

La classe

uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli | CrAnPi

collaborazione alla drammaturgia Marta Meneghetti Giada Parlanti Emanuele Silvestri

collaborazione artistica Lorenzo Letizia Tiziana Tomasulo Lafabbrica

performer Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni, Marta Meneghetti

scene e marionette Fiammetta Mandich

luci Raffaella Vitiello

suono Hubert Westkemper

fonico Jacopo Ruben Dell’Abate

assistenti alla regia Francesco Meloni, Silvia Corona, Arianna Cremona

foto di scena Tiziana Tomasulo, Valeria Tomasulo

consulenza Piergiorgio Solvi

un ringraziamento a Giorgio Testa

produzione Cranpi, Lafabbrica, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello Centro di Produzione

Teatrale, Carrozzerie | n.o.t | con il supporto di Residenza IDRA e Teatro Cantiere Florida/Elsinor

nell’ambito del progetto CURA 2018 |

e di Nuovo Cinema Palazzo |e con il sostegno di Periferie

 

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Guarda il video [il link resta attivo dal 1 al 31 luglio]

 

La classe è un docupuppets con pupazzi e uomini. È un rito collettivo, in bilico tra La Classe morta di Tadeusz Kantor e I cannibali di George Tabori, in cui gli adulti, interpretati da pupazzi, rileggono i ricordi di un’infanzia vissuta nella paura di buscarle. Una storia che Fabiana Iacozzilli fa nascere dai ricordi delle scuole elementari all’istituto “Suore di carità” e in particolare da quelli legati alla sua maestra, Suor Lidia.

Questi ricordi/pezzi di legno si muovono senza pathos su tavolacci che rimandano a banchi di scuola, ma anche a tavoli da macello o a tavoli operatori di qualche esperimento che fu. Tutto intorno, silenzio. Solo rumori di matite che scrivono e compagni che respirano. I genitori sono solamente disegnati su un cadavere di lavagna ma poi ben presto cancellati. Nel silenzio dei loro passi, questi corpicini di legno si muovono nel mondo terrorizzante di Suor Lidia, unica presenza in carne ed ossa che sfugge alla vista di pupazzi e spettatori.

In questa ricerca di pezzi di memorie andate emerge il ricordo in cui Suor Lidia affida a Fabiana la regia di una piccola scena per una recita scolastica decidendo, forse, insieme a lei, la vocazione della sua alunna.

 

“Dal 1983 al 1988 io e altre trenta anime siamo stati gli alunni di una classe elementare in un istituto gestito da suore e che oggi ospita una casa per ferie. L’Istituto portava il nome di Suore di Carità. La nostra unica maestra, anche lei suora di carità, era Suor Lidia ed è morta più di vent’anni fa. Non è stato mai facile per me raccontare gli anni trascorsi in Istituto e la rigidità dell’educazione alla quale ci sottoponevano. A distanza di trent’anni ho deciso che avrei realizzato uno spettacolo a partire da quei ricordi e mi sono messa alla ricerca dei miei ex compagni, ritenendo indispensabile ricreare quella “comunità” con la quale ho condiviso l’esperienza in questione. Per iniziare a ricomporre i tasselli della “storia” li ho intervistati, ponendo loro domande molto semplici: “Com’era Suor Lidia?”; “Cosa ti ricordi di lei?”; “Ti ricordi cosa accadeva in classe?”; “Sei stato felice quando è morta?”.

Parallelamente al lavoro sulle interviste Fiammetta Mandich ha realizzato dei fantocci/burattini a immagine dei miei compagni, per far interpretare loro gli episodi da noi vissuti tra i sei e i dieci anni di vita. Da questa prima fase d’elaborazione dei materiali è emerso lo spettacolo: un docupuppets fatto da pupazzi e da uomini, ma anche un rito collettivo in bilico tra La Classe morta di Kantor e I cannibali di Tabori in cui l’adulto rilegge i ricordi di un’infanzia vissuta nella paura di buscarcele, interpretati da pupazzi in mano a un misterioso deus ex machina. Questi ricordi/pezzi di legno, bambini ridotti a marionette, fantocci di gioventù morte, impotenti e manipolati come oggetti, si muovono senza pathos su dei tavolacci che ricordano banchi di scuola, tavoli da macello o tavoli operatori di qualche esperimento che fu. Intorno silenzio. Solo rumori di matite che scrivono e di compagni che respirano. E poi rumori di gessi che si consumano scrivendo dettati alla lavagna. I genitori sono assenti. Non pervenuti. I genitori sono solo disegnati su un cadavere di lavagna ma poi ben presto cancellati. Nel silenzio dei loro passi, questi corpicini di legno si muovono in un Mondo-Suor Lidia che pure Dio abbassa lo sguardo quando la vede. Suor Lidia, unica presenza in carne ed ossa, figura viva di donna o uomo in mezzo a tutti questi oggetti, sfugge alla vista di pupazzi e pubblico. Ne possiamo sentire i passi, vedere le mani, cogliere nel buio qualche tratto, sentire l’odore del suo sigaro magari. Sentiamo che ci fa paura, che in fondo, nel fondo più fondo di ognuno di noi, pubblico pupazzo performer tecnico tavolo o compagno di classe, lei è generatrice di paura.

In questa riflessione sul senso profondo del ricordo, in questa ricerca di pezzi di memorie andate, i miei compagni mi hanno aiutato a trovare una rotta e, infine, a comprendere la natura del lavoro. La Classe ha trovato il suo vero significato nel momento in cui ho rinunciato a quello che volevo raccontare in origine e mi sono messa in ascolto della materia che stavo indagando. A quel punto è emersa una domanda, la domanda intorno alla quale lo stesso spettacolo s’interroga: “che cosa ci facciamo con il dolore?”; “cosa ogni essere umano è in grado di diventare a partire dal proprio dolore?”

Dal vuoto allora è emerso il ricordo di una scena in cui Suor Lidia mi affida la regia di una piccola scena all’interno della recita per la festa della mamma. E decide, forse, insieme a me la mia vocazione. Dunque La classe è uno spettacolo che voleva parlare di ABUSI DI POTERE ma parla di VOCAZIONI. La mia e la sua. Uno spettacolo in cui tutti hanno ragione: sia quelli che dicono che nessuno guarisce dalla propria infanzia, sia quelli che dicono che tutto dipende da quello che ci facciamo con la nostra infanzia.”

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Fabiana Iacozzilli, regista-drammaturga che porta avanti un lavoro di ricerca improntato sulla drammaturgia
scenica e sulle potenzialità espressive della figura del performer collabora dal 2013 con Cranpi e il Teatro
Vascello di Roma e dal 2017 con Carrozzerie N.O.T. Nel 2002 si diploma come regista presso l’Accademia
“Centro internazionale La Cometa” dove studia tra gli altri con N. Karpov, N. Zsvereva, A. Woodhouse. Dal
2003 al 2008 è regista assistente di P. Sepe e assitente di Luca Ronconi e nel 2008 fonda la compagnia
Lafabbrica della quale diventa direttrice artistica. Nel 2011 viene selezionata per partecipare al DIRECTOR
LAB, progetto internazionale organizzato dal LINCOLN CENTER (Metropolitan di New York). Dallo stesso anno
diventa membro del LINCOLN CENTER DIRECTORS LAB. Tra i suoi spettacoli: “Aspettando Nil” con il quale
vince l’Undergroundzero Festival di New York; “La trilogia dell’attesa” vincitrice del Play Festival (Atir e Piccolo
Teatro di Milano-Teatro d’Europa); “Da soli non si è cattivi”. Tre atti unici dai racconti di T. Tomasulo e “La
classe_un docupuppets per marionette e uomini” che vince il bando di residenze interregionali CURA 2018,
debutta in prima nazionale a Romaueropa Festival 2018 e vince il Premio In-Box 2019, il Premio della Critica
2019.

Cranpi si occupa di produzione e comunicazione teatrale. Tra le attività degli ultimi anni si segnalano la
collaborazione alla gestione del Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma; l’organizzazione e la comunicazione
di “Sound Visual Landscapes”, progetto vincitore del bando del Mibac “Spazio aperto alla cultura”;
l’organizzazione del laboratorio/spettacolo Alzheimer mon amour in collaborazione con Teatro di Roma; la
produzione degli spettacoli: “Accabadora”, dal romanzo di Michela Murgia/drammaturgia Carlotta Corradi,
con Monica Piseddu/Anna Della Rosa per la regia di Veronica Cruciani, “La Classe_un docupuppets per
marionette e uomini” di Fabiana Iacozzilli (UBU 2019: Vincitore miglior progetto sonoro; nomination per miglior
spettacolo di teatro, migliore regia, miglior scenografia, Vincitore Premio della critica ANCT 2019, Vincitore in-
Box 2019, Selezione L’Italia dei Visionari – Kilowatt Festival 2019, Vincitore del bando di residenze interregionali
CURA 2018), “Un cosa enorme” di Fabiana Iacozzilli con debutto alla Biennale Teatro 2020 (settembre 2020), “Il
dolore di prima” di Jo Lattari per la regia di Mario Scandale con Arturo Cirillo, Betti Pedrazzi, Valentina Picello,
Paola Fresa con debutto al Napoli Teatro Festival Italia (luglio 2020); la promozione, nei teatri italiani, del libro
“Nuovo Teatro Made in Italy” a cura di Valentina Valentini; la comunicazione e la promozione di compagnie
di danza contemporanea internazionale: Spellbound Contemporary Ballet (IT), Roy Assaf (IL), Compagnie
Linga (CH); la comunicazione di “Fuori Programma_International Dance Festival” e di “FuturaMemoria” con la
direzione artistica di Valentina Marini.

  • Organizzato da: IIC Melbourne
  • In collaborazione con: Fabiana Iacozzilli/GrAnPi